Biografia di Renato Carosone / 19 Marzo 2021 in Carosello Carosone

Prodotto da Matteo Rovere e Sidney Sibilia, il film tv Rai Carosello Carosone rinnova l’intento della casa di produzione Groenlandia Film di trovare e raccontare storie italiane apparentemente semplici eppure dagli sviluppi ed esiti incredibili di cui, nel tempo, si è persa memoria e che meritano di essere riportate alla luce, per via non solo delle loro peculiarità narrative, ma anche per l’esempio che portano avanti e la forma mentis che potrebbero ispirare.

Come un altro film recente Groenlandia, L’incredibile storia dell’isola delle rose (2020), infatti, Carosello Carosone si concentra su personaggi e una serie di eventi che hanno segnato la storia della cultura italiana e che, nonostante la notorietà ottenuta all’epoca in cui hanno agito/avuto luogo, trascolorano inevitabilmente con il passare degli anni, fino a rischiare di restare sconosciuti alle generazioni contemporanee e future.

Se, nell’altro film Groenlandia, si parlava di anarchia e ricerca della libertà da un ordine mentale e giuridico non convidiso, qui, con la storia del musicista napoletano Renato Carosone (1920-2001), si pone l’accento sulla biografia di un uomo di talento che, consapevole dei propri mezzi, ha deciso di condividere la sua Arte con un pubblico sempre più ampio, per rendere il mondo un posto migliore, possibilmente più allegro, senza perdere mai di vista il contatto con la realtà.
Il Carosone tratteggiato dagli sceneggiatori Francesca Serafini e Giordano Meacci (un pezzo della Banda Caligari di Non essere cattivo) è realista e reale al punto giusto.
Carosone ci vede lungo, quando decide di partire da Napoli, lasciando amici e famiglia, per lavorare come direttore d’orchestra in Africa (per ampliare i propri orizzonti umani e musicali). Intuisce i limiti imposti da una carriera di successo, quando decide di ritirarsi, alla fine degli anni Cinquanta, al culmine della fama (timoroso di non poter godere del calore di una famiglia per cui stravede).

Il musicista e compositore Stefano Bollani, che ha curato la colonna sonora del film e che compare nella fiction Rai in un piccolo ruolo, ha definito quella di Carosone “una storia in chiaro”. Infatti, il Carosone del film diretto da Lucio Pellegrini è un uomo equilibrato che, pur vivendo di Arte e per l’Arte e nonostante che abbia raggiunto una fama planetaria, contribuendo in maniera fondamentale a un certo modo di fare musica e spettacolo, è ben lontano dall’immagine canonica dell’artista maledetto e tormentato che paga dolorosamente il caro prezzo del successo.
Umanissimo e dalle felici intuizioni artistiche, questo Carosone porta con se dolori, preoccupazioni e incertezze, ma non se ne lascia sopraffare e, anzi, sublima le proprie pene nella spensieratezza, sempre condivisa.

Carosello Carosone è un film per la televisione lineare ed essenziale (quanto il suo protagonista) che ottiene questo senso peculiare di ordine grazie al lavoro di scrittura e alla resa della messinscena, esaltata da una bella fotografia “d’epoca” (di Marco Bassano) virata sui toni dell’oro, del verde, del terra di Siena, dell’avorio.
La scelta del cast artistico completa perfettamente l’opera. Vincenzo Nemolato è un Gegé Di Giacomo correttamente divertente. Ludovica Martino è una composta e discreta Lita. Ma è Eduardo Scarpetta a vincere e convincere: il suo Carosone, benché non troppo somigliante all’originale dal punto di vista fisico, è tutto consapevolezza e misura. Con maturità e sensibilità, l’attore (neppure ventottenne) ha dato vita a un personaggio dai toni moderati e mai stucchevole di cui, da subito, si pensa: “Che bello avere a che fare con una persona del genere”.

Girato durante l’emergenza sanitaria da COVID-19, con tutte le difficoltà del caso, Carosello Carosone non è esente da qualche difetto.
Mi è parso che, dal film, traspaia relativamente poco il peso della fama, anche internazionale, che gravava su Carosone: oltre ai viaggi intercontinentali, ci sono pochi elementi che lasciano intuire il successo mondiale raggiunto dall’artista e dal suo sestetto (ma resta il dubbio che, per motivi di sicurezza, la produzione sia stata limitata nella realizzazione di particolari scene, immagino quelle di massa e/o in luoghi chiusi affollati).
Mi pare, poi, che rimangano in sospeso alcune questioni (es. Cosa è successo, dopo che Carosone e il suo sestetto si sono esibiti alla Rai, in diretta nazionale, facendo la parodia di una canzone sanremese ispirata a un drammatico fatto di cronaca? ).
A tratti, infine, l’estrema precisione e pulizia formale manifesta la natura televisiva del progetto, poco incline agli azzardi e agli esperimenti.
Nonostante questa impressione, però, ho trovato molto belle alcune scene, come la raffinata sequenza del monologo che accompagna l’ingresso di Carosone al Carnegie Hall di New York: mi è sembrata un riuscito connubio tra esigenze tecniche, di set, narrative e formali. Ecco, penso che, forse, qualche scelta in più di questo tipo, diciamo più “cinematografica” (che, ovviamente, non saprei dove collocare o come risolvere), non mi sarebbe dispiaciuta.

Leggi tutto