Professione: reporter / 4 Ottobre 2015 in Professione: reporter
Professione: reporter è un manifesto cinematografico dell’ennui, della voglia di cambiare vita e chiudere con un passato opprimente (scena emblematica: il 4×4 che si insabbia nel deserto, cui segue il disperato urlo d’angoscia del protagonista).
Un film lento (forse troppo), che alterna fasi ridondanti a geniali virtuosismi degni di quello che è considerato uno dei più grandi registi italiani del post-neorealismo.
Il riferimento va ovviamente, in primis, al meraviglioso piano sequenza finale: la lunghissima ripresa del cortile di un desolante paesino andaluso, effettuata dall’interno della camera d’albergo in cui il protagonista andrà incontro alla sua fine. La macchina da presa si avvicina sempre più all’inferriata, prima impercettibilmente poi sempre più rapidamente, per poi uscirne. Si assiste, fuori da quella camera, a tanti singoli momenti, tutti molto significativi: la ragazza che sembra andarsene, ma che poi torna; l’arrivo dei killer; quello della moglie del reporter.
Minuti che scorrono lunghissimi, carichi di un’alienante angoscia.
Ma ci sono anche altri momenti, qua e là sparsi, di grande regia (penso alla ripresa di Nicholson che si sporge sul mare dal finestrino della teleferica simulando il volo di un gabbiano).
Suggestive alcune location, tra cui le riprese sul tetto di Casa Milà a Barcellona (la Pedrera di Gaudi).
Un buon Jack Nicholson affiancato da una Maria Schneider che punta tutto sulla sua irresistibile bellezza acqua e sapone, risultando perfetta nella sua ingenuità, anche se non altrettanto quanto a doti recitative.
Ho trovato fuori luogo la battuta finale della moglie: a volte uno sguardo, un’espressione del viso fanno più di tante frasi scontate e banali.