Ambizioso quanto irrisolto tentativo di rinnovamento / 31 Dicembre 2022 in Rumore bianco

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Premessa: non ho letto il romanzo di Don DeLillo da cui è tratto il film di Baumbach, quindi non so quanto il secondo sia aderente al primo. Però, ho l’impressione che, tolti alcuni macropensieri universali e atemporali, il romanzo sia figlio del suo tempo (è stato pubblicato nel 1985) e, per quel che so, il film rispetta le caratteristiche temporali del libro (è ambientato nel 1984 o giù di lì).

All’epoca dell’uscita del romanzo, incombeva la minaccia nucleare e l’edonismo che caratterizzava il decennio era al suo culmine.
Non che oggi si viva più sereni e rilassati, eh, ma quella decade aveva caratteristiche peculiari che non sono capaci di riverberare con precisione ancora oggi.
La critica al consumismo di massa (il nuovo oppio dei popoli, indirettamente lo conferma anche la suora, nelle battute finali, quando disamina sulla necessità di credere in qualcosa… e non si tratta necessariamente della religione o della politica), che mi pare di aver compreso sia il tema portante del racconto, mi sembra un tema fuori tempo massimo e, nel film, viene affrontato in maniera un po’ didascalica.

Per quanto interessante, la sequenza finale ambientata nel supermercato, sulle note del brano new body rhumba degli LCD Soundsystem (che, in senso positivo, tanto mi ha ricordato certe situazioni dei Talking Heads), è l’apice di questo didascalismo.
Se (ribadisco, se) l’intento di Baumbach era assodare il concetto che siamo una massa indistinta di morti viventi votati all’egoismo e al consumismo più becero, beh, penso che, benché imperfetto, un film come I morti non muoiono di Jarmusch (sempre con Adam Driver, tra l’altro!) si sia dimostrato perlomeno più originale nella forma e nelle soluzioni.

Insomma, Baumbach prova a mettere la testa fuori dalla comfort zone della famiglia disfunzionale, ma mi pare di aver capito che dipingere il quadro di una società (disfunzionale per estensione) esistente oltre i confini di un singolo nucleo famigliare non sia esattamente la sua dimensione narrativa ideale e, infatti, torna nel seminato appena può, arrotolandosi per quasi metà del film nello strambo tradimento del personaggio di Babette (Greta Gerwig) che, alla ricerca di un palliativo alla sua paura della morte, si concede meccanicamente a un amante sgradevole e bizzarro quanto inutile (Lars Eidinger).

Per strada (ma non so quanto, in ciò, il film sia debitore del lavoro di DeLillo), Rumore bianco smarrisce molte cose, che, inizialmente, sembrano costitutive del racconto: il rapporto di Jack (Driver) e Babette con i figli, via via sempre più evanescenti (il minore, peraltro, non esiste mai: ho dubitato a lungo che sapesse parlare); l’ambiente lavorativo; le interazioni con gli altri esseri umani (quasi senza volto, privi di qualsiasi caratterizzazione, con cui il nucleo protagonista non interagisce praticamente); il contesto culturale e temporale.

Insomma, per quanto, in passato, abbia apprezzato molto il cinema di Noah Baumbach e che, perciò, con me il nostro eroe possa benevolmente vivere di rendita, mi sembra che Rumore bianco sia un ambizioso quanto irrisolto tentativo di rinnovare e/o arricchire la narrativa dell’autore attraverso la chiave della metafora e della (arresa) critica sociale.

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