Serie tv sensibile ed empatica / 15 Novembre 2022 in Tutto chiede salvezza

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Con la miniserie Netflix Tutto chiede salvezza, tratta dall’omonimo romanzo di Daniele Mencarelli, Francesco Bruno conferma di avere la sensibilità giusta per parlare a più generazioni di spettatori, affrontando argomenti delicati come il declino e la malattia fisici (come con i film Tutto quello che vuoi, 2017, e Cosa sarà, 2020) e il disagio mentale, come in questo caso.

In ambito cinetelevisivo italiano, i problemi psichici e psichiatrici, in particolare in età giovanile, al centro di questa miniserie, non sono materia narrativa inedita.
Uno dei primi che ricordo è il film Il grande cocomero (1993) di Francesca Archibugi. Fra i più recenti, prima di questo, sicuramente, c’è la fiction Rai Mental (2020-?), i cui protagonisti sono addirittura minorenni. Ma anche un’altra miniserie Netflix, Strappare lungo i bordi (2021) di Zerocalcare, che, benché non sia ambientata in una struttura sanitaria, tratta questo tipo di argomenti.

Perciò, dal punto di vista narrativo, l’esperienza raccontata in Tutto chiede salvezza non è affatto una novità, in Italia (men che meno in altri contesti geografici) e, anzi, ricalca pedissequamente lo schema tipico delle storie di formazione (spesso, di ambientazione ospedaliera) in cui il protagonista è costretto a trascorrere in modo forzato un periodo della sua vita in un ambiente che non gli è congeniale.
“Io non sono come voi” è il leitmotiv di buona parte degli episodi che si scontra con la palese incapacità del personaggio protagonista di dimostrare che le cose stanno diversamente.
Nell’arco di tempo in cui si sviluppa il suo viaggio dell’eroe (e Tutto chiede salvezza è un esempio vogleriano con tutti i crismi, con tanto di talismano finale), il protagonista Daniele (il bravo Federico Cesari) si dedica a tutti i comportamenti tipici dello stereotipo che gli è stato affidato: rifiuto del luogo, dei compagni di sventura e delle persone preposte al suo “monitoraggio”; rabbia; accettazione; sviluppo di una profonda amicizia con i compagni rifiutati in precedenza; comprensione nei confronti dei suoi “carcerieri”; maturazione e consapevolezza; ritorno a casa.

Posto il rispetto dei punti che, in ottica drammaturgica, costituiscono il percorso evolutivo del personaggio (con corredo non richiesto delle vicende private del personale sanitario che gravita intorno al nucleo di personaggi ricoverati, utile “solo” a dimostrarne l’umanità), Tutto chiede salvezza dimostra di avere un certo coraggio, nel mostrare quanto il disagio psicologico sia brutto a viversi e a vedersi, di come -spesso- le famiglie dei soggetti monitorati siano incapaci di sopportare lo stigma della malattia mentale e la pericolosità fisica e materiale correlata (che sarà mai successo ai congiunti di Madonnina, ché nessuno fa visita a questa povera anima? Bruni riesce a raccontare molto del personaggio interpretato dal valido Vincenzo Nemolato, senza dire niente), di come il servizio sanitario nazionale e, quindi, lo Stato sembrino inadeguati a gestire il più che complesso mondo del disagio mentale e delle sue derivazioni pratiche.

Tutto chiede salvezza fa il possibile per mostrare affetto nei confronti di tutti tutti tutti i suoi personaggi (a eccezione di quello della Crescentini…), incitando il pubblico all’empatia incondizionata.
Il risultato viene raggiunto con facilità, anche grazie alle belle interpretazioni del cast artistico, su cui, secondo me, spiccano, oltre ai nomi già citati, Vincenzo Crea, Andrea Pennacchi e Lorenzo Renzi.

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